martedì 1 ottobre 2013

Rush


E anche stavolta clicco "Mi piace" su Ron Howard!
La scorsa settimana sono andata a vedere "Rush" al cinema, il film che si basa sulla competizione di due grandi piloti di formula uno: Niki Lauda e James Hunt.
Se fatti bene, i film che parlano di sport, soprattutto quelli che raccontano storie di squadre o atleti che sono davvero accadute, mi entusiasmano molto, e questo non è stato da meno. Mi ha fatta trasalire (le scene dell'incidente e della convalescenza di Lauda, sapendo che lui le ha vissute sul serio, sono davvero molto forti) e rimanere concentrata per tutti i suoi 123 minuti, mi ha fatta sorridere, mi ha fatto perfino pensare alla formula uno con un interesse diverso..anche se solo per un giorno...
Mi piace quando succede che mi appassioni qualcosa che racconta di un mondo molto lontano dal mio. Io non pratico sport e nemmeno mi piace. Mi rompo le scatole a guardare 90 minuti di calci e sputi in campo, non capisco le regole del tennis, mi viene sonno se guardo la pallavolo. Il mio corpo indietreggia se qualcuno propone di fare una corsa insieme e il mio tapis roulant fa da attaccapanni... eppure ho adorato "Febbre a 90", "Invictus" e ora sono rimasta colpita da "Rush".
Ci fa vedere quello che c'è sotto i piloti: loro come persone. Ci fa conoscere la loro determinazione, capisci che rischiano davvero la vita. Ho visto la loro forza di volontà e la grinta che fino ad oggi avevo sottovalutato, forse addirittura ignorato. Mi è piaciuto molto vedere le immagini di repertorio (che secondo me sono fondamentali in un film che racconta di fatti realmente accaduti) di due persone che sono sempre state solo un nome nella mia testa. Non avevo mai provato a immedesimarmi in loro e, invece, con questo film Ron Howard lo rende possibile. Mentre ero al cinema avevo come la sensazione di non essere solo una spettatrice in quella sala cinematografica, ma anche di quelle corse che vedevo sullo schermo, la mia partecipazione era davvero totale. E questo lo possono fare solo un grande regista e due attori davvero perfetti nei propri ruoli. 

mercoledì 14 agosto 2013

Hunger Games

Ho appena finito di vedere "Hunger Games", stanno ancora scorrendo i titoli di coda, ma ho già la penna in mano perché questo è stato uno di quei film alla cui visione ha partecipato tutto il mio corpo. Non sono stata solo attratta e affascinata dagli attori: il mio cuore rallentava o accelerava a seconda dei colpi di scena, la mia mente lavorava di continuo chiedendosi se i personaggi stavano fingendo o no in quel determinato momento, i miei occhi guardavano attorno a Jennifer Lawrence (che mi è piaciuta più in questo film che in "Il lato positivo") per aiutarla a rimanere in vita in quel mondo finto, assurdo e violento che G. Ross ha creato al cinema per noi. Una storia allucinante che mi ha lasciata un po' scioccata, come solo "Live!" aveva saputo fare (un altro film che non ha fatto rumore ma che mi aveva sconvolta e che tuttora mi fa pensare). 
Gli Hunger Games nascono in seguito alla rivolta di tredici distretti verso il loro Paese. Ogni anno ciascun distretto, come punizione per aver scatenato questa rivolta, deve offrire due tributi, un ragazzo e una ragazza tra i dodici e i diciotto anni, come partecipanti a questi giochi della morte. Il vincitore è colui o colei che riesce a sopravvivere a tutti gli altri dopo due in un'arena ideata e controllata dai creatori di questi giochi e in cui può succedere qualsiasi cosa, in cui non si è mai al sicuro ma si è tutti contro tutti. Dalla regia si controllano le mosse dei giocatori, si prova a salvarli o a ucciderli e intanto il mondo li acclama e gli spettatori seguono l'avventura in televisione. Stanley Tucci è il bravissimo attore che interpreta il presentatore di questo macabro "Grande fratello" il cui mondo è ridicolizzato nel colore degli abiti e dei capelli, per non parlare del trucco. 
Il mondo in Hunger Games è diviso in settori e distretti così come, anche se non fisicamente visibili, esistono le nostre "caste": ci sono i lavoratori e gli approfittatori, i poveri e i ricchi. Chi ci rimette e rischia la vita sono, ovviamente, quelli che hanno meno mezzi e che, nella pellicola, sembrano essere gli unici ad avere le sembianze di esseri umani e non di caricature.
Il film mi ricorda altre cose tutte insieme: la differenza tra paesi ricchi e quelli del Terzo Mondo; i media nel modo di trattare la gente  come burattini; la spettacolarizzazione di ogni cosa: il dolore, la paura, la tragedia, la bontà, la cattiveria, l'amore. 
Mi ricorda la perdita del controllo della propria vita e della libertà per ordine di qualcuno che ha deciso per te che cosa è bene per il mondo ed è pronto a fare a meno di te pur di andare avanti. La polizia che porta i giocatori alla gara, o che interviene durante i disordini, mi ricorda le SS.
E ora di nuovo quella sensazione di disagio mista a stupore e tristezza quando mi sono ritrovata a pensare "spero che vinca lei", perché significa che in quel momento mi stavo augurando la morte degli altri, che stavo pensando alla sopravvivenza di uno solo. 
Cosa stiamo diventando? Questa è ancora finzione ma noi queste cose già le facciamo nel mondo reale. La cattiveria degli uomini non è finzione, creiamo anche noi delle bestie pronte a ucciderci, non ci fermiamo davanti ai soldi, vogliamo sempre di più, vogliamo apparire ad ogni costo, non importa a discapito di chi. E per farlo, per sopravvivere, dobbiamo essere pronti a mettere in scena il nostro personaggio, fare sorrisi finti e affrontare la vita di tutti i giorni come se fossimo davvero in una giungla e dovessimo sempre guardarci alle spalle perché chiunque è pronto a ferirci. 
Tutti noi partecipiamo ogni giorno agli Hunger Games.. quindi forse è proprio il caso di dirlo: "Possa la fortuna sempre essere a vostro favore!".

lunedì 24 giugno 2013

Il grande Gatsby

Prima dell'uscita del film mi sono precipitata a leggere il libro perché volevo fare il confronto fra i due e devo dire che la sceneggiatura è molto fedele al romanzo di F. Scott Fitzgerald. E ormai, dopo cinque film che mi sono piaciuti tanto (due dei quali so praticamente a memoria), posso affermare con certezza che adoro Baz Luhrmann!
Penso che chiunque avrebbe potuto dirigere un altro Gatsby facendo un buon lavoro, ma lui lo ha reso perfetto in ogni cosa. Mi sono piaciuti gli abiti, i colori, le musiche moderne che animavano le feste, i tempi della macchina da presa: a volte lenti e altre volte a tutta velocità. Con i film di Luhrmann si ha come l'impressione di fare un giro sulle giostre, l'atmosfera assomiglia a quella di un luna park ma in più ci regalano anche i fuochi d'artificio! Riesce a mescolare il logico e reale con un pizzico di finzione, esagera le espressioni degli attori (soprattutto quando Gatsby aspetta di rivedere Daisy) ma la macchina funziona così bene che non si possono fare obiezioni.
Cosa posso aggiungere, invece, alla storia che non sia già stata detto? Di Gatsby e la luce verde sono già state dette migliaia di frasi che cercano di spiegarne il significato, che ne esaltano la bellezza.. io dico solo che la prima domanda che mi è venuta in mente è stata: cosa può arrivare a fare un uomo per amore di una donna? 
Fino a che punto un uomo può mettere da parte la sua vita per cercare di raggiungere qualcosa che non ha? L'attesa di Gatsby, la sua angoscia, la sua speranza, il suo amore non fanno altro che incantarmi e stupirmi, oltre che commuovermi. 
La seconda domanda, invece, è stata: quanto erano effettivamente grigi e vuoti i rapporti umani sotto tutto quel luccichìo di diamanti e paillettes? 
E poi a raffica: in quante case c'era amore, in quante famiglie erano sereni? Ci si divertiva di più durante le feste o quando si smetteva di fingere? E quanto fingiamo noi oggi? In quanti si riconoscono ancora in Gatsby? 
Perché è così difficile staccare gli occhi da quella dannata luce verde?

The Vow (La memoria del cuore)

Dato che questo blog non vuole essere snob ho deciso di scrivere a proposito di uno di quei film silenziosamente vengono ideati, prodotti, girati, distribuiti e che poi non fanno rumore. Non vengono premiati o ricordati, spesso perfino nominati, ma ti costringono a registrarli sul my sky se hai iniziato a guardarne anche solo cinque minuti. In (ahimè, i titoli italiani fanno sempre male..) "La memoria del cuore" sono tra l'altro anche rimasta colpita da Channing Tatum che, nella sua parte, è stato abbastanza bravo mentre non gli avrei dato un centesimo, quando si dice di non giudicare dalle apparenze! Non mi ha colpita il film per la sceneggiatura, le scene o altro, perché il livello è assolutamente nella norma, ma non riesco a togliermi dalla testa questa domanda: se succedesse a me una cosa del genere, come mi sentirei? 
La protagonista, infatti, in seguito ad un incidente stradale, perde la memoria dei suoi ultimi anni di vita. L'attuale marito, Tatum, cercherà quindi di farle ricordare la loro vita insieme e le racconta di quello che fa, del suo lavoro, delle scelte che ha preso. Lei impara tutto guardando foto e video in cui però non si riconosce. E' pazzesco.. il film è tratto da una storia vera. Inutile dire che mi spaventa da morire! 
Non so cosa farei se di colpo non ricordassi più tutto quello che sto vivendo in questi anni. Se non ricordassi più la sensazione di liberazione avuta subito dopo l'esame di maturità? La prima volta che ho visto Notre Dame de Paris? Il primo messaggio ricevuto da qualcuno? Che dire di tutti i libri che ho letto in questi anni, delle cose che ho imparato, delle amicizie che sto continuando a coltivare? Se non ricordassi più le camminate fatte in riva al fiume fino alle quattro del mattino anche se il giorno dopo si lavorava, se non ricordassi di come ci si sente a voler quasi morire per amore. Se non ricordassi più il primo sguardo, il primo appuntamento, il primo bacio della persona con cui vorrei dividere la mia vita? Se non sapessi più spiegare le scelte che mi hanno portata a essere chi sono ora? Mi innamorerei di nuovo delle stesse persone? Continuerei a voler stare vicino alle persone che adesso mi sembrano insostituibili? 
Dove andrebbe a finire quella sensazione di essere sulla strada giusta per diventare la persona che vorrei essere? 
Insomma tutte domande molto complicate scaturite da un semplice film iniziato a vedere quasi per noia.. 

venerdì 12 aprile 2013

Anna Karenina

Premetto che so che non è facile racchiudere in due ore tutta l'intensità del romanzo di Tolstoj. E so anche che non è semplice interpretare una donna complicata come Anna Karenina, ma di sicuro, per quanto mi piaccia Keira Knightley, in questo film l'esperimento non è riuscito. Un lungo applauso però alla regia e alla scenografia. Essendo uno dei classici per eccellenza sarebbe stato infatti troppo ordinario girare il film in modo standard, e proprio perchè è una storia conosciuta già rappresentata è stato giustamente puntato sull'imprevedibilità. Il film, infatti, sembra una rappresentazione teatrale in cui tutti gli attori si muovono a piacimento del regista e a volte sembrano proprio burattini nelle sue mani. Le scene si svolgono sul palco, dietro le quinte, tra il pubblico.  Sono tutte collegate tra loro, ognuna è come se nascesse da quella precedente e i personaggi vi danzano all'interno.
Le scenografie sono piene di colori e di contrasti: il bianco della neve, il nero dei treni, il rosso dei vestiti di Anna, il blu della divisa di Vronskij. Bello il gioco di sguardi iniziale tra i due, ma poi nessun trasporto travolgente. Bravissimi invece Jude Law, che mi piace da quando ha vestito i panni di Watson, e Alicia Vikander nel ruolo di Kitty. Romantico il momento in cui Levin le dichiara per la seconda volta il suo amore.  
Tra tutti i buoni e perfetti attori del cast non riesco davvero a capire come mai per i ruoli dei due protagonisti siano stati scelti due attori tra i quali l'alchimia è evidentemente inesistente.
Del romanzo ricordo che venivano spesso nominati gli occhi grigi di Anna, profondi e potenti, ma non li ho visti stasera. Non mi sono emozionata fino alle lacrime perchè non ho visto sullo schermo la disperazione, la tristezza, l'incertezza e la sofferenza che mi avevano fatto amare il romanzo. Non sono stata catapultata nel solito mondo in cui mi ritrovo quando guardo un film che mi rapisce, ed è un peccato perchè ero sicura sarebbe successo stasera.


domenica 17 febbraio 2013

Zero Dark Thirty

Ieri sera ho visto "Zero dark thirty", un film bellissimo! Questo almeno dal punto di vista tecnico, non si può certo dire che la storia raccontata sia bella dato che parla di fatti spiacevoli anche se dannatamente veri. La regista è ancora una volta Kathryn Bigelow che si riconferma, secondo la mia opinione, la migliore. E Jessica Chastain è stata bravissima e mi ha ricordato quanto la giusta interprete possa valorizzare una pellicola. 
Il suo personaggio lavora per la CIA e grazie ad un'intuizione, e alla tenacia con la quale la difende, riesce a portare a termine ciò per cui lavora da anni: la cattura di Osama bin Laden. Dopo l'11 Settembre si sa che il mondo, almeno quello occidentale, non è più stato lo stesso. Meno fiducia, più paura, meno sicurezza, più crudeltà. Ci troviamo in un mondo diviso tra la speranza di una terra più sicura e serena e la paura di vivere di nuovo un momento come quello. Due sentimenti: paura e speranza. Indignazione e perdono. 
E così come quando avevo sentito alla televisione la notizia della morte di Osama bin Laden, con questo film mi sono sentita divisa da due opposte sensazioni. Subito dopo aver saputo della morte del terrorista islamico, infatti, mi ricordo di aver provato sollievo ma nello stesso tempo mi ero sentita in colpa per quello che stavo provando. Perchè per quanto cattivo e spregiudicato, ero contenta per la morte di qualcuno, e questo è sbagliato. Il film di ieri sera mi ha di nuovo fatto provare due sensazioni contrastanti: non vedevo l'ora di vedere la scena dalla cattura e della sua uccisione, e subito dopo mi trovavo a pensare che stavo pensando a qualcosa di cattivo. Mi ha ricordato di quanto sia sottile la differenza tra bene e male a volte, quasi come la linea bianca che divide due corsie di una carreggiata. Sarà che quest'uomo aveva toccato le corde delle emozioni di noi tutti in quanto facenti parte della cultura occidentale, ma ci siamo sentiti tutti, penso, più sollevati dalla sua morte. Ma non posso fare altro che chiedermi: questo non è orrendo? C'è solo questo modo per estirpare il male dalla radice?

martedì 29 gennaio 2013

Quasi amici

E' fantastico capire quante cose si possono ancora fare quando fino a poco prima credevi di non avere più possibilità per ricominciare, per avere di nuovo una vita, per essere di nuovo felice. Quanta energia ti può dare il poter vivere emozioni quando ormai credevi di non poter più provare niente di bello? In tanti mi avevano consigliato di vedere questo film e devo dire che, pur essendo francese, è assolutamente perfetto. 
La storia è quella di Philippe, un uomo ricco e molto colto che, in seguito ad un incidente, è costretto a stare su una sedia a rotelle a causa di una paralisi dal collo in giù. Durante i colloqui di lavoro per trovare un aiutante che lo curi e lo segui nelle sue esigenze, Philippe assume Adbel, un ragazzo un po' impertinente e senza peli sulla lingua che non lo tratterà mai come un vero paziente. Tra i due si instaura un rapporto unico e particolare, di fiducia e di stima. 
Adbel, nella sua giovinezza e spavalderia, nonostante la sua inesperienza, dà a Philippe la più grande lezione della sua vita: gli fa capire che lui può ancora pretendere tanto dalla vita. Questo film non è solo una bella commedia piena di umorismo e ottimismo, è tratto da una storia vera. Il mondo è pieno di persone che con la loro forza vanno avanti nonostante abbiano dovuto affrontare atrocità o ingiustizie. 
La forza e la voglia di ricominciare è indispensabile ma ciò che conta è anche l'affetto delle persone che ti sono vicine, il loro supporto. 
Adbel rappresenta, nel film, tutte quelle persone che ci arricchiscono senza chiedere niente in cambio.. è raro incontrarle, per questo è stupendo quando accade.

Con te fino alla fine del mondo

Ho divorato questo libro in tre giorni e non in uno soltanto perché di giorno ero al lavoro e di notte dovevo dormire qualche ora. “Con te fino alla fine del mondo” racconta una storia dolce in poche parole essenziali: nessun momento è descritto più a lungo del dovuto, non troviamo alcuna dilungazione, nessuna frase in più del necessario, perfino la conclusione sembra quasi “frettolosa”. La storia è quella di Jean-Luc Champollion, proprietario di una galleria d’arte di Parigi, la cui vita viene movimentata dall’arrivo inaspettato di una lettera d’amore a lui indirizzata da parte di una donna misteriosa che si firma “la Principessa”, una donna che sembra conoscerlo da vicino ma di cui Jean-Luc non conosce l’identità. Comincia così per lui la ricerca della possibile autrice di quelle parole che non fanno nascere in lui solo curiosità ma che lo stregano completamente. Il lettore è invitato a cercare di svelare l’intrigante enigma dubitando insieme al protagonista di tutte le sue precedenti amanti e delle donne da cui è circondato, accompagnato da una sottile e sana invidia per questo gioco a cui Jean-Luc è chiamato a partecipare. Questo libro, inoltre, ci fa assaporare la romantica atmosfera di Parigi circondandoci della bellezza dell’arte attraverso le mostre di Jean-Luc. Con lui l’autore ci aiuta a capire che spesso commettiamo l’errore di non vedere bene lo cose che guardiamo, perché spesso non abbiamo più tempo per soffermarci sulle cose, o per il caro e vecchio “corteggiamento”. Non abbiamo più tempo per fare una telefonata così scriviamo corti messaggi di testo, magari abbreviando qualche parola. Non abbiamo più tempo di conoscerci poco a poco, se non ci si piace subito significa che quel “qualcosa” che noi tutti cerchiamo non è scattato. Il protagonista di questa storia vorrebbe sapere in fretta chi è la famosa donna che gli ha scritto ma lei lo costringe ad aspettare, fa in modo che lui si apra con lei e che si crei tra loro un legame speciale. Mi sono ritrovata a leggere le ultime pagine con il cuore che batteva all’impazzata mentre accompagnavo Jean-Luc all’appuntamento con la principessa. Alla fine del libro scopriamo, dalle note dell’autore, che questa storia è realmente accaduta, ed è stato bellissimo sapere che anche oggi queste cose possono succedere. Anche oggi, in questo nostro mondo senza tempo per i sogni e il romanticismo, è possibile rimanere sorpresi da qualcosa o da qualcuno: Nicolas Barreau con questo libro lo ha fatto.

"Con te fino alla fine del mondo", di Nicolas Barreau.

Articolo pubblicato nel numero n. 2012/19 nel periodico di informazione "L'indicatore mirandolese".