giovedì 3 agosto 2017

PER DIECI MINUTI

·      Titolo: Per dieci minuti
·      Autore: Chiara Gamberale
·      Editore: Feltrinelli
·      Anno: 2013
·      Pagine: 187
·      Prezzo: 16,00 €

Mi piace pensare che questo libro mi abbia chiamata dallo scaffale nel momento giusto.
Questo piccolo romanzo è stato per me come una ventata di aria fresca, mi ha dato la sensazione di essere in una bolla che scoppia. A un certo punto, finito di leggere, è come se ci si trovasse in un mondo nuovo, come la protagonista (che è la stessa Chiara Gamberale in quanto autobiografia).
Chiara deve ripartire nella sua vita, dopo la rottura con suo marito, in una casa e in una città che non riesce a sentire suoi. La terapista allora, per farle guardare le cose da un’altra prospettiva, le propone un gioco: fare almeno una volta al giorno per dieci minuti qualcosa che non ha mai fatto prima. Si comincia da un semplice smalto per le unghie per poi passare a una lezione di cucito, a una camminata per Roma per mercatini.
Si scopre a poco a poco un piccolo nuovo mondo fatto di tante lezioni ancora da imparare e persone da incontrare. E’ un libro che sì, inizia con una perdita, ma che sottolinea quanto è importante prendere ciò che si ha e valorizzarlo, senza piangere per tutto quello che è stato perso.
Amo quando i libri mi danno nuove idee e spunti, quando mi spingono a fare qualcosa, anche si tratta di qualcosa di piccolo e ininfluente. Per esempio mentre lo leggevo sono dovuta correre a comprare uno smalto proprio come la protagonista, semplicemente per vedere le cose che ho vicino sotto un’altra luce.
Come Chiara molti di noi avrebbero bisogno di una scossa ogni tanto, mettersi alla prova, guardare il mondo da un’altra angolazione e prospettiva.
Sarebbe bello, e probabilmente anche interessante, se provassimo a fare tutti il gioco dei dieci minuti di cose nuove al giorno. Magari ci sarebbero meno gastriti e meno prescrizioni di ansiolitici in giro.
Sì, sono davvero convinta che a volte basti davvero così poco.


Articolo pubblicato sul numero 2 di Gennaio 2016 del periodico L'indicatore mirandolese.


mercoledì 26 luglio 2017

BACIAMI SENZA RETE

Titolo: Baciami senza rete
Autore: Paolo Crepet
Editore: Mondadori
Anno: 2016
Pagine: 170
Prezzo: 18,50 €

Questa è la prima recensione che scrivo senza prima aver terminato il libro, perché in realtà più che una recensione ho bisogno di condividere il pensiero dello scrittore, Paolo Crepet, con cui ancora una volta sono d'accordo al cento per cento.
Nel suo "Baciami senza rete" Crepet ci parla del problema della comunicazione, dello svago, dell'amore nell'epoca di digitalizzazione che stiamo vivendo.
Attenzione, non voglio, proprio come il sociologo italiano, attaccare o demonizzare la tecnologia. La uso per il blog, per cercare notizie, idee di arredo, come navigatore. Ma sono spaventata dal modo in cui la rete sta trasformando le persone, le sta letteralmente intrappolando. Crepet è molto bravo ad analizzare come la società si stia modificando e ce ne parla nei suoi capitoli senza accusare nessuno, ma facendoci rendere conto che se non si cambia qualcosa avremo generazioni sempre più stanche e superficiali, senza la curiosità di scoprire il mondo con i propri occhi. Avendo a che fare con le scuole ci riporta esempi di alunni e professori che incontra e mi rattrista leggere le condizioni si scolarizzazione e insegnamento attuali.
E inevitabilmente penso a quanto sono contenta di essere nata in anni in cui la tecnologia non era ovunque. Iniziava sì ad essere presente nelle aule o a casa, ma a una foto di un piatto preferivo gustarmelo; a quella di un tramonto preferivo vederlo; a un concerto guardavo da una parte all'altra del palco e cantavo e il giorno dopo sapevo cosa avevo visto. A pensarci adesso sono contenta anche di aver dovuto aspettare per più di un anno il mio primo cellulare da quando l'avevo richiesto. E il sabato pomeriggio, in centro con le amiche, mica si sapeva se quel determinato scooter con la targa che finiva con Z sarebbe passato, si sperava. Si aspettava.
Proprio in questo giorni pensavo a quando ero piccola e in estate, dopo cena, ci si trovava davanti a casa alle nove in punto con gli amici che abitavano vicini, poi verso le dieci e mezza tutti a casa e guai a chi tardava.
Si aspettava l'arrivo degli altri e se quella sera non usciva nessuno pazienza, si rientrava. Di giorno facevo i compiti, guardavo i cartoni, giocavo a fare la cameriera o (pensa te) l'impiegata, cantavo, scrivevo racconti, ritagliavo foto di città dicendo che un giorno ci sarei andata. Perché mi piaceva vedere foto sui giornali, o le prime pagine di Internet, ma le volevo vedere con i miei occhi. Ho visto migliaia di film ambientati a New York, ma non per questo mi ritengo soddisfatta, la voglio vivere.
Oggi la mia paura è che i ragazzi, e i bambini, non vivano più le sensazioni che provano.
Anche andare al ristorante è per me fonte di angoscia perché non mi piace per niente vedere famiglie che, sedute a tavola, non scambiano una parola perché tutte le teste sono chine su cellulari e tablet e tutti sono impegnati a far scorrere i loro pollici su link e foto. Non si ha più niente da dire? Non si fa più niente durante la giornata che valga la pena di essere raccontato?
Spero di riuscire a far capire a mio figlio che la vita è più bella se viene vista con i nostri occhi, se le cose vengono toccate con tutte e due le mani, se a sera arriviamo a letto stanchi perché abbiamo giocato ore all'aperto.
Spero che riuscirò a fargli capire quanto è bello viaggiare e conoscere gente nuova, ad aver degli amici con i quali ridere e scherzare. E' nato in un'epoca in cui la tecnologia digitale ci sta inglobando ma spero che riuscirà a trovare una sua dimensione in questo mondo pazzo e meraviglioso che non si merita di venire snobbato così, o maltrattato.


lunedì 5 giugno 2017

LIKE

Wow! E' stata la prima esclamazione che mi è venuta in mente appena terminata a visione del cortometraggio del concordiese Giulio Manicardi. 
Sì perché Like è un piccolo capolavoro, che ha vinto e continua a vincere diversi premi e che credo dia ottimi spunti di riflessione. Non sono una addetta ai lavori (purtroppo) quindi non posso esprimere giudizi troppo tecnici, ma penso che la scenografia accompagni ottimamente i dialoghi dei protagonisti, il contrasto dei colori bianco- nero- rosso che compaiono sullo schermo aumenta la suspense già abbondantemente stimolata dalle musiche di Hanz Zamar; il tocco finale lo danno la voce e i gesti del killer che ipnotizzano e, devo ammetterlo, mi hanno fatto battere il cuore più forte diverse volte.
Posso inoltre dire che Like mi ha fatto tornare in mente un altro film di alcuni anni fa, purtroppo passato inosservato, con Eva Mendez: Live!.
Anche quel titolo era formato da solo quattro lettere ma faceva scaturire tante domande e, almeno a me, anche sensi di colpa, proprio come il film di Manicardi.
In Live! avevamo alcuni partecipanti a un reality show che si sfidavano al gioco della roulette russa rischiando davvero la vita in cambio di una cospicua somma di denaro. Per ogni concorrente veniva creato un video descrivendone la vita, le caratteristiche, i motivi che li avevano spinti a partecipare a un così controverso show e mi ero trovata sconvolta nel constatare che, pur non volendolo, si era creata in me davvero una preferenza tra i concorrenti. Senza rendermene conto stavo anche io scegliendo chi per me doveva vivere o morire.
Ecco, Like ci mette in una posizione simile: un uomo che commette uno dei crimini più orribili viene rapito da un assassino che vuole fare giustizia e saranno gli spettatori che vedono vittima e carceriere in diretta a scegliere se permettergli di vivere o di pagare con la morte per quello che ha fatto, semplicemente cliccando il tasto like dei nostri ormai comuni social.
Cosa dire? Di nuovo mi sono trovata nella situazione di non condividere la violenza, in quanto violenza genera violenza, ma di pensare che in fondo una sorta di giustizia stava facendo il suo corso. Ci si trova davanti al dilemma: inseguire la vendetta che ognuno vorrebbe ottenere anche se in modo incivile, o attendere che giustizia venga fatta rispettando le leggi della nostra società che però spesso ci lascia un pò a bocca aperta?
Ascoltare il cuore o la ragione? Dare sfogo ai più nascosti istinti o trattenere rabbia e disgusto? 
E' giusto diventare giudici solo perché riteniamo che qualcuno abbia commesso un reato?

E ancora: può la vita di un uomo valere così poco da poter essere messa ai voti?

Può lo spazio dei social, che dovrebbe essere dedicato allo svago, diventare luogo di sentenza?

Like dura solo una ventina di minuti ma sono così intensi che vale la pena vederlo. Penso sia un'opera d'esordio ottima che mi fa essere molto curiosa a proposito dei futuri progetti del regista. Dal mio piccolo non posso che incoraggiare le iniziative, soprattutto se ben riuscite come questa dove posso vedere nei titoli di coda nomi di persone che conosco, e sapere che si tratta di persone del mio paese mi riempie di gioia e orgoglio.